I cagnolini di Reder

Nel 1944 il Maggiore (Obersturmbannführer) Walter Reder comandava la 16ma SS. Panzer Aufklärung Abteilung (gruppo corazzato esplorante, chiamato anche battaglione ricognizione, AA16) della 16ma Divisione SS. Panzer Grenadier ``Reichs Führer''. Sono note a tutti le atrocità commesse da questo reparto a S. Anna e a Marzabotto; molti altri delitti furono commessi in luoghi citati meno spesso, e quindi meno noti a livello nazionale, come i Monti Pisani, Valla, Bardine S. Terenzo, Vinca, Bergiola Foscalina, le Fosse del Frigido. Dovunque, quei vigliacchi colpirono i civili indifesi con la piú selvaggia ferocia. Il ciclo operativo della 16ma SS. Panzer Grenadier fra i Monti Pisani e l'Appennino Tosco-Emiliano è stato chiamato ``la marcia della morte''.

Purtroppo è meno noto che in quelle imprese i nazisti furono accompagnati da persone nate e cresciute in Italia, che parlavano italiano, o addirittura lo stesso dialetto delle loro vittime, che insomma potremmo chiamare italiane se non fossero state dei traditori fascisti.

S. Anna di Stazzema

All'alba del 12 agosto 1944, circa 300 tedeschi circondarono il paesino di S. Anna e le sue frazioni, accompagnati da fascisti in uniforme tedesca, col volto coperto da una rete. Attaccarono con mitragliatrici, bombe, lanciafiamme. Bruciarono morti e vivi, alcune donne furono sventrate, altre impalate. Secondo il tipico rituale nazista, dei bambini furono presi e sfracellati contro i muri, e sette neonati morirono orribilmente nel calore di un forno da pane.

Una giovane donna, Genny [genní] Bibolotti nei Marsili, riuscí a nascondere il figlio e poi, forse per sfida forse per distrarre gli assassini dal piccolo, gettò uno zoccolo contro le SS, che la uccisero a raffiche di mitra.

In paese gli abitanti, molti dei quali erano sfollati provenienti da altri paesi, furono ammassati davanti alla chiesa insieme ad altri sventurati raccolti negli abitati vicini, e massacrati dalle mitragliatrici e dai lanciafiamme. Il parroco, Don Innocenzo Lazzeri, morí fra le fiamme con i suoi parrocchiani. I nazifasciti che non erano impegnati direttamente nel macello si ubriacavano nella canonica, rallegrati dalla musica dell'organetto che accompagnava sempre le spedizioni della 16ma Panzer Grenadier, oppure andavano a saccheggiare. Uno dei pochi superstiti fu un ragazzo di tredici anni, Ennio Navarri, che i nazifascisti avevano catturato per la strada con altre persone e portato alla Vaccareccia (vicino a S. Anna), dove venne chiuso in una stalla con altri bambini e delle donne. C'erano delle mucche, e qualcuno degli uomini (se cosí si può dire), portandone via una, gridò: ``Dài, mora!''. Una tipica frase tedesca!

Altri superstiti testimoniarono della presenza di fascisti. Federico Bertelli, testimone al processo Reder, afferma di aver sentito parlare anche in italiano. Un individuo in tuta mimetica minacciò Benedetta Bottari, che cercava di uscire da una stalla incendiata: ``Vedi che c'è qui se te sorti!''. Un altro, occupato ad accoppare una mucca: ``Brutta mostra! Sei cosí dura che non vuoi morire!'', come riferisce Giuseppe Pardini.

A S. Anna e nei dintorni morirono 560 persone. Dopo la guerra, il magg. Reder fu assolto per assenza di prove dall'accusa di aver ordinato il massacro di S. Anna (sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Bologna, 31/10/1951). Non fu possibile identificare con sicurezza il reparto responsabile, tuttavia il magg. Reder stesso afferma che fino al 12 o 13 agosto del '44 il suo reparto si trovava nella zona, ed egli fu visto a Pietrasanta e a Capezzano (paesi a valle di S. Anna) pochi giorni prima della strage. Secondo testimonianze di prigionieri tedeschi (Willi Haase, alla commissione d'inchiesta alleata, Livorno, 16/9/1944) il reparto responsabile fu il 2do battaglione del 35mo reggimento della 16ma divisione. Questo stesso reparto, però, in altre occasioni era stato posto agli ordini di Reder. In seguito all'appello dei difensori di Reder, l'assoluzione per insufficienza di prove venne convertita in assoluzione per non aver commesso il fatto.

Vinca

La Brigata Nera ``Mai Morti'' era accasermata a Carrara, capeggiata dal gen. Biagioni e dal col. Lodovici, federale della città. Erano equipaggiati per la guerra antipartigiana, con mitragliatrici pesanti e leggere. A volte facevano azioni di spionaggio in borghese, e riferivano al controspionaggio nazista (magg. Loos) come risulta dalla testimonianza del cap. Max Saalfrank, comandante della 5a compagnia dell'AA16, resa durante il processo Reder.

Il col. Lodovici partecipa il 23 agosto '44 al trattenimento degli ufficiali nazisti per l'inaugurazione del circolo ufficiali di Carrara, dove viene informato dell'imminente rastrellamento nella zona di Vinca. Secondo alcune testimonianze (Giulio Riedler, interprete), il magg. Reder chiese al Ludovici se fosse disposto a partecipare ad un'azione antipartigiana. Secondo il magg. Reder stesso, fu il Lodovici ad offrire la collaborazione della Brigata Nera (forse in un'occasione precedente). In ogni caso, il magg. Reder dispose che due plotoni di fascisti affiancassero la 4a e 5a compagnia della AA16, per guidarle e identificare i Partigiani e ``i loro complici''.

La mattina del 24 agosto, i fascisti aggregati alla 5a compagnia furono lasciati a Gragnola per preparare e sorvegliare il centro di raccolta per i prigionieri e rastrellare il paese. Un plotone di fascisti attacca Vinca a ovest, si stabilisce nel paese, e il giorno seguente partecipa al rastrellamento a sud del paese, quindi viene messo in riserva nel paese. Al termine dell'operazione, il 26 agosto, rientra a Carrara attraverso le montagne.

Parte della strage avviene nel paese, prima bersagliato dalle postazioni di mitragliatrici che lo circondano, e poi ``rastrellato'' dai nazifascisti accompagnati dal solito organetto. Altre squadre risalgono la valle alla caccia di chi cerca rifugio negli anfratti o nei casolari, e attaccano i paesi vicini: Viano, Vezzanello, Campiglione, Tenerano, Monzone, Equi. Una donna fu ritrovata decapitata, altre uccise insieme ai loro bambini in braccio.

Una donna incinta fu sventrata. L'autore di questa efferatezza fu un caporal maggiore della Brigata Nera che, rientrato alla tana, andò in osteria a Carrara, dove voleva addirittura brindare col padre ``per la donna che ho squartato a Vinca''. Il poveruomo gettò il bicchiere in faccia al figlio, dicendo ``Io non brindo con un assassino!''.

Una bambina venne lanciata in aria e cosí fucilata, per il divertimento dei nazifascisti. Furono alcuni militi fascisti ad accusare un loro camerata, anch'esso caporalmaggiore, di aver partecipato al gioco. Lo stesso si è macchiato di varie altre atrocità a Vinca e a Bergiola Foscalina.

Una superstite, Eva Borzani, vide dei fascisti affacciarsi alla grotta dove si nascondeva con altre persone e li udí parlare: ``Vittorio, porta le munizioni!''. Arrivate le munizioni, i fascisti spararono nel buio della grotta uccidendo tutti, salvo la Borzani che, ferita, rinvenne piú tardi in mezzo ai corpi dei suoi cari: i fascisti non avevano trascurato di portar via l'orologio di suo padre.

Il parroco di Vinca, don Luigi Janni, la mattina del 24 si trovava relativamente al sicuro sul Monte Sagro (che rispetto a Vinca si trova piú a sud, sul versante opposto della valle) dove si era incontrato con dei Partigiani. Visto quel che succedeva al paese, decise di ritornarvi, sebbene perfino alcuni tedeschi, in un barlume di umanità, lo sconsigliassero, avendolo incontrato sul sentiero. Altri militari, piú in basso, lo arrestarono, insieme al padre e ad altri due uomini. Li portarono al paese di Monzone, dove uno della Brigata Nera disse loro: ``Adesso siete liberi, potete andare a casa''. Furono uccisi a raffiche di mitra dopo pochi passi.

Il 25 agosto i nazifascisti tornarono a Vinca e si scagliarono sui sopravvissuti alla prima strage che cercavano i propri morti. Il corpo di una donna era stato portato dai figli in una capanna: dopo il ritorno dei nazifascisti quel povero corpo fu trovato infilzato su un palo piantato in terra.

Un testimone al processo di Perugia del 21 marzo 1950 (data della sentenza), che durante il massacro era nascosto in una grotta, sentí dei fascisti che chiamavano un camerata gridando ``Guarda in quel cespuglio, guarda in quell'altro''. Fra quei cespugli c'erano tre donne, che furono uccise dai fascisti. Altri testimoni sentirono i fascisti che s'incitavano l'un l'altro: ``Spara là, spara là!'', ``Ammazzateli tutti, piccoli e grandi'', ``Giovanni, sta' attento, ammazzali quanti ne vedi''. ``Giovanni, ce n'è un chioppo qui, mi occorre una mitragliatrice''. (Si tratta del serg. Giovanni Bragazzi). ``Carlo, c'è una donna che non vuol morire''. ``Tirale una bomba e non risparmiare nessuno''.

In località la Bronza si erano nascoste delle donne: ``Finalmente le abbiamo trovate, vieni qua, non le uccidete dentro i buchi, sennò possono restar vive o ferite, tiratele fuori e mitragliatele''. Un superstite, Edoardo Mattei, assisté impotente all'uccisione di sua moglie da parte di quattro fascisti, che poi trovarono il rifugio della suocera: ``Giovanni, che cosa facciamo a questa qui?'' ``Alzale la gonnella e sparale sul c...''.

In località Foce: ``Giovanni, si ammazza?''. La risposta fu un segnale col fischietto, che scatenò la una salva che uccise sette persone. E poi: ``Quelli che trovate fucilateli tutti''.

Non bisogna pensare che i fascisti fossero soltanto degli assassini. Erano anche ladri. Il paese venne saccheggiato, ed i fascisti riempirono camionette intere di roba, di cui in parte si disfecero gettandola nel fiume. Un milite, chiacchierando dal barbiere a Carrara, si vantò di aver preso 30.000 lire, una catena d'oro e un anello ad una donna che aveva ucciso a Vinca. Un suo camerata, che aveva rubato una fisarmonica oltre a riempire una valigia di oggetti di valore, gli raccomandò di non parlarne tanto in pubblico. Altri fascisti furono visti frugare i cadaveri e prendere i portafogli. Il caporal maggiore accusato di aver fatto il tiro al volo con una bambina, in seguito mostrò ad un camerata l'orologio tolto ad un pastore che aveva ucciso sulle pendici del Sagro. Un altro campione di ``Onore e Fedeltà'' fu accusato dai camerati di aver rubato 60.000 lire, mentre egli diceva di aver solo fatto un fagotto di lana, mutande, calze e flanelle, rimproverando gli altri di aver buttato nel fiume camionette intere di bottino. Un'altro ancora confidò ad un camerata di aver portato via 150.000 lire, che pensava di impiegare dopo la smobilitazione, ottenuta pochi giorni dopo.

A Vinca e nelle zone vicine morirono piú di 200 persone.

Bergiola Foscalina

La strage di Bergiola Foscalina fu una rappresaglia per l'uccisione di un militare tedesco avvenuta il 16 settembre 1944. Il giorno stesso, SS tedesche e fascisti della Brigata Nera ``Mai Morti'' attaccarono Bergiola, comandati dal ten. Fischer (comandante la Compagnia Pionieri della 16ma Panzer Grenadier). L'abitato fu mitragliato e incendiato con la solita ferocia, donne e bambini furono rinchiusi nella scuola elementare e bruciati vivi.

Vincenzo Giudice, un sottufficiale della Guardia di Finanza la cui famiglia era sfollata a Bergiola, offrí invano la propria vita in cambio di quelle dei civili. I Partigiani che si trovavano sulle alture circostanti cercarono di intervenire, ma poterono giungere in paese solo quando i nazifascisti si erano già allontanati, e poterono solo soccorrere le vittime.

Anche a Bergiola i fascisti indossavano uniformi tedesche, ma furono uditi parlare in italiano e (come a Vinca) riconosciuti individualmente perché ben noti nella zona.

La madre del quindicenne Giuseppe Dinelli, rivolgendosi al brigante nero Italo Masetti, detto Fernando, chiese pietà dicendo ``Sono madre di otto figli!''. Il fascista rispose: ``Sono scoperto! Sacramento! Senza pietà!'', ed uccise Arnaldo Attuoni di 12 anni, Angelo Attuoni di 9 anni, Ernesto Dinelli di 16 anni, Angelo Dinelli di 12 anni, e Giuseppina Attuoni di 40 anni. Sentendo dei feriti che si lamentavano, tornò a lanciare delle bombe a mano. Questo fascista si portava dietro un cane, a cui faceva leccare il sangue dei feriti. Aveva anche incitato un tedesco a colpire una donna che cercava di fuggire, ``cosa che, evidentemente, ripugnava al militare, che non volle aderire all'istigazione'', come riporta Emma Morelli, protagonista dell'episodio.

A Bergiola si segnala la presenza di una ``ragazza di Salò'', una collaborazionista nata nello stesso paese, che vi torna vestita nell'uniforme tedesca ed armata di mitra, per far da guida ai suoi padroni indicando le case da distruggere e per assassinare di persona (almeno) una compaesana (e forse sua parente, poiché dagli atti del processo di Perugia risulta che la vittima aveva lo stesso cognome).

A Bergiola morirono 71 persone.

I capi sapevano

Se i briganti neri eseguivano molto volonterosamente gli ordini dei nazisti, i loro capobanda italiani provvedevano a coprire le stragi col silenzio e la menzogna.

Le notizie del massacro di S.Anna giunsero al governo repubblichino, che incaricò il sottosegretario agli Interni, Giorgio Pini, di fare segretamente delle indagini. Il Pini dispose un sopralluogo, nel corso del quale venne accertato non solo l'eccidio di S. Anna, ma anche quello di Bardine S. Terenzo, dove 53 ostaggi rastrellati il 12 agosto (giorno dell'eccidio di S. Anna) furono legati a dei pali col fil di ferro e mitragliati alle gambe perché il filo li strangolasse. I risultati del sopralluogo furono riferiti a Mussolini.

La piú spudorata azione di copertura avvenne in seguito all'eccidio di Marzabotto (altro nastrino sul medagliere del magg. Reder, che quella volte pare abbia fatto a meno dei servigi fascisti). Il segretario comunale di Marzabotto riferí della strage al capo della provincia di Bologna, lo stesso che aveva svolto il sopralluogo in Versilia, e che si guardò bene dal rispondere. Il segretario comunale andò a parlare di persona col viceprefetto di Bologna, che lo minacciò di farlo arrestare. Dei rapporti segreti vennero comunque inviati al governo fantoccio, che di fronte alla dimensione della strage non poté fare a meno di fingere una protesta presso i nazisti. La risposta alla protesta si ridusse alla sostituzione del comandante di piazza, ad espressioni di rammarico per la morte di ``qualche donna o bambino'', e ad un'azione di propaganda volta a rovesciare la colpa sulla Resistenza.

Il Resto del Carlino, di fronte al diffondersi nelle notizie che passavano di bocca in bocca, scrisse (11/10/1944):

``Le solite voci incontrollate ... assicuravano fino a ieri che nel corso di un'operazione di polizia contro una banda di fuorilegge ben centocinquanta fra donne vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche in rastrellamento nel comune di Marzabotto. Siamo in grado di smentire queste macabre voci e il fatto da esse propalato. ... È vero che nella zona di Marzabotto è stata compiuta un'azione di polizia ... ma fortunatamente non è affatto vero che il rastrellamento abbia prodotto la decimazione ed il sacrificio nientemeno che di centocinquanta civili.''

Le vittime furono milleottocentotrentasei.

Emulazione

Nella prima metà del settembre 1944, uno dei fascisti che avevano partecipato all'eccidio di Vinca si mise a raccontare in pubblico le sue imprese: ``Vi lamentate di quello che le S.S. hanno fatto in questi paesi; questo è nulla in confronto di quanto abbiamo fatto noi a Vinca: bisognerebbe che andaste lassú a vedere!''.

Bibliografia

A.N.P.I Versilia (a cura di F. Bergamini), Battaglione Reder - La marcia della morte, Arti Grafiche M. e G. Pezzini, Viareggio, 1995.

A. Berti, ``S. Anna, un viaggio nell'orrore'', Il Tirreno 18/2/1997.

G. Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Mondadori, Milano, 1995.

G. Cipollini, Operazioni contro i ribelli, Mauro Baroni Editore, Viareggio, 1996.

C. Paolicchi, G. Salvatori, S. Anna - Guida per un pellegrinaggio di pace, ETS Editrice, Pisa, 1988.


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